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* PRONTI A PAGARE PER LA QUALITÀ A CUI NON SIAMO PIÙ ABITUATI? ::

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L’unico modo per iniziare a cambiare le cose è vederle. Per questo la settimana scorsa dicevo che è importante (imparare a) parlare di soldi. Ma è importate parlare pure della qualità che quei soldi ci permettono di avere. Sul lavoro. Ma anche nel nostro tempo libero, quando mangiamo al ristorante, per dirne una.
Alessandro Borghese, in un’intervista del Corriere della Sera sul suo lavoro come ristoratore, ha detto: «Bisogna essere datori di lavoro seri, dare prospettive. Se vogliamo che questo settore sia centrale per l’Italia è l’unica strada. Senza personale qualificato non andiamo da nessuna parte, se si trovano male i clienti non tornano».
Vale per ogni cosa.

La spirale verso il basso

Anni fa, parlando di lavoro, un amico mi spiegava come succedeva che gusti e interessi si stessero appiattendo: siamo così tanto abituati al brutto che non ci stupiamo che il brutto chiami il brutto, in una spirale verso il basso temo senza fine. Non si può sempre guardare al risparmio immediato. Gli investimenti costano, anche tempo. Ma che si guardi solo come tagliare i costi, senza pensare al futuro, succede da sempre e dappertutto. E ora di più.

«In ufficio da me serve ridurre il personale. La crisi, certo. Per non scegliere hanno proposto una buonuscita per chi decidesse di andarsene volontariamente. Si può? Si fa. Ma cosa sta succedendo? Vanno via solo le persone che sanno di trovare altro perché sono brave. Io sto pensando cosa fare perché resterò circondato dai colleghi meno proattivi, se non anche quelli che aspettano la pensione». Succede ovunque così.

È proprio una scelta puramente economica: va via chi costa di più. Perché chi costa meno è più giovane e guadagna meno. Chi ha mercato. Quindi, appunto, le persone che all’organizzazione aziendale costerà di più perdere. Non sto dicendo nessuna novità vero? È lo stesso nella ricerca di figure senza esperienza, perché così è possibile pagarle meno, dove non si contano mai i costi di affiancamento e formazione.

La vedi questa spirale verso il basso anche nella qualità del lavoro? In What You Do Is Who You Are: How to Create Your Business Culture, Ben Horowitz dice: «Se vedi qualcosa che si discosta dalla cultura aziendale [o quello che vorresti lo fosse] e lo ignori, hai creato una nuova cultura». Quante volte ci sarà capitato?
A me è successo di osservare come, in posti dove sapevo esserci standard elevatissimi, una volta ridotte le fasi di controllo del lavoro non si prestasse più così tanta attenzione alla qualità. E una qualità inferiore, in un posto che della qualità ha fatto sempre il suo vanto, si nota subito, tanto, e diventa un nuovo standard.

Succede così anche con le persone, non solo con i prodotti del nostro lavoro, che sia intellettuale o che produca qualcosa di tangibile. Eppure il famoso quanto generico bar di Milano proprio sotto all’ufficio di tutti ha ripreso a vendere costosissimi toast di pessima qualità e qualcuno ha pure tentato di farci credere che la ripresa economica sia quella.

Il ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, ha persino detto che il ritorno in presenza nella pubblica amministrazione permetterà alle città di ricominciare a vivere.

Alle città certo, mentre le comunità di provincia, quelle montane, quelle dei paesi in cui le case abbandonate vengono vendute a un euro possono tornare a morire. Io penso che lo smart working, proprio per questo, faccia rinascere l’economia anche dove non ce l’aspettiamo.

Usciti dall’emergenza organizzativa lo smart working è diventato argomento di trattativa ai colloqui e strumento per la ripresa economica, magari non quella sotto i nostri occhi, ma in comunità non ufficio-centriche che sono rinate proprio grazie alla scoperta che si può lavorare da ovunque perché «Il lavoro è ciò che fai, non il luogo in cui vai», come dice la mia collega Nicoletta Caccia con la quale il 5 novembre, alle 18, in diretta streaming sul sito della Regione Lombardia – moderate da Laura Schirru – vedremo di raccontare insieme come sarà il lavoro che ci aspetta proprio con questo punto di vista privilegiato che ci regala l’insieme di pro e contro di questa città utilitaristica che è Milano.

E da te come va: siete rientrati? E sotto all’ufficio ha riaperto il bar?

Ognuno di noi ha una storia da raccontare. Vuoi raccontarmi la tua?
Ogni lunedì? inizieremo insieme la settimana. Mi siedo accanto alla tua scrivania. Chiacchieriamo un po’. Vediamo cosa c’è da fare. Insieme.

Manda la tua storia a lettori@editorialedomani.it.

A lunedì.

PER SAPERNE DI PIÙ: ll pessimo capo. Manuale di resistenza per un lavoro non abbastanza smart (Longanesi).


Quest’articolo è uscito lunedì 1 novembre 2021 su  Domani con il titolo:
UFFICIO E NON SOLO – OGNI LUNEDÌ
Siete pronti a pagare per la qualità a cui non siamo più abituati?

Nella stessa rubrica:
Siamo tutti pessimi clienti, pessimi capi o pessimi dipendenti?

Quanto costa farmi perdere tempo.

E tu quanto guadagni?

 


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